L’ EUROPA E’ PERENTORIA: NESSUN VANTAGGIO NELLE GARE PER I CONCESSIONARI USCENTI. SOLO RICONOSCIMENTI EVENTUALMENTE CONCORDATI PRIVATAMENTE TRA IMPRENDITORI. ORIENTAMENTO CONFERMATO NEL SEVERO PARERE DEL CONSIGLIO DI STATO.
Bocciatura definitiva e senza mezzi termini da parte della Commissione Europea (DIREZIONE GENERALE DEL MERCATO INTERNO, DELL’ INDUSTRIA, DELL’ IMPRENDITORIA E DELLE PMI) nei confronti dello schema del decreto ministeriale meglio conosciuto come “decreto degli indennizzi ai balneari” (art. 4, comma 9, legge 118-2022).
Nella lettera UE risposta decreto Salvini quello che più rileva, quanto meno per quanto normato dalle clausole concessorie e dagli strumenti urbanistici ad esempio riminesi, è che anche l’ unica parte di esso che la Commissione può ritenere in linea con i principi “pro concorrenziali” eurounitari, e cioè un riconoscimento economico a favore del concessionario uscente ed a carico dell’ entrante, deve avere ad oggetto “i soli investimenti non ammortizzati e cioè quelle strutture strettamente necessarie per la fornitura del servizio e che costituiscono parte integrante ed essenziale della concessione le quali verrebbero trasferite ai nuovi concessionari in base al bando di gara“.
Niente di nuovo sotto il sole. Dalla sentenza della C.G.U.E. del 14 luglio 2016, l’ Unione Europea è stata chiara nel ribadire la tutela incondizionata della libera concorrenza e l’ abbattimento dei monopoli e delle rendite di posizione in materia di concessioni demaniali a scopo turistico ricreativo. Lettere di infrazioni, pareri, risposte a petizioni, ulteriori sentenze della Corte di Giustizia, tutte perentoriamente in linea con il filone pro-concorrenziale scandito dal Trattato e dalla Direttiva Bolkestein .
I principi che devono sorreggere la materia, secondo la U.E. e alla faccia dei commentatori politici locali, regionali e nazionali, tutti a busta paga “elettorale” dei balneari, sono chiari, cristallini e lo erano da tempo e non solo nel contesto attuale della legislatura Meloni :
1) Nessuna compensazione tra operatori uscenti e nuovi tale da creare oneri indebiti tendenti a scoraggiare di fatto o di diritto la loro partecipazione a quella fetta di mercato;
2) richiami alle numerose sentenza della Corte Costituzionale italiana che tali principi sono anni che li fa propri bocciando vergognose leggi regionali tendenti a consolidare i monopoli e le rendite di posizione degli attuali concessionari;
3) nessun riconoscimento alla valorizzazione dei “beni immateriali” o “all’ avviamento” delle aziende in quanto concetti vaghi e tendenti anch’essi ad eludere le regole della concorrenza favorendo gli uscenti a scapito degli entranti.
Nei giorni successivi alla lettera UE anche il Consiglio di Stato, interpellato proprio dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per il previsto parere sul decreto, ha risposto con una dettagliatissima analisi di 29 pagine, nella quale il testo del decreto viene smontato punto per punto, con un severo giudizio di incoerenza e infondatezza.
Il CdS bacchetta il Ministero già per quanto riguarda gli aspetti procedurali: “la richiesta di parere non è accompagnata dalla documentazione, né comunque integrata da idonei elementi informativi, in ordine all’interlocuzione con le autorità europee“, mancando i quali il parere del CdS non può valutare compiutamente la compatibilità con “gli assetti normativi e le indicazioni giurisprudenziali di matrice eurocomune“. Una incompatibilità, che sembra essere per il CdS più che una ipotesi, avrebbe come immediata conseguenza “esito disapplicativo – già in via amministrativa, oltreché in sede giurisdizionale“, ovvero bocciatura certa al primo ricorso al TAR. Anche nelle consultazioni, avvenute con l’ANCI e con le categorie dei balneari, peraltro prive di verbalizzazione, il CdS lamenta l’assenza di quella con l’AGCM, “che sarebbe stato assai opportuno acquisire, avuto riguardo alla materia trattata“.
Ma la bocciatura definitiva arriva sull’aspetto più qualificante del decreto, giudicato incompatibile con il diritto italiano: “Nella specifica disciplina delle concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali per finalità turistico-ricreative e sportive non è dato rinvenire una disposizione che imponga il riconoscimento automatico e generalizzato di un indennizzo a favore del concessionario uscente, alla scadenza del rapporto concessorio. Il già richiamato articolo 49 del codice della navigazione prevede, piuttosto, che «salvo che sia diversamente stabilito nell’atto di concessione, quando venga a cessare la concessione, le opere non amovibili, costruite sulla zona demaniale, restano acquisite allo Stato, senza alcun compenso o rimborso, salva la facoltà dell’autorità concedente di ordinarne la demolizione con la restituzione del bene demaniale nel pristino stato». […] È, appunto, in questa prospettiva (peraltro integralmente incentrata, ab origine, sul diritto nazionale e legislativamente correlata all’interesse pubblico quale parametro legittimamente prevalente) che il richiamato articolo 49 del codice della navigazione ha inteso, con decifrabile razionalità giuseconomica, escludere a priori, e in via di principio, pretese dell’uscente verso l’ente concedente (e, di conserva, verso il nuovo affidatario): di fatto, in un rapporto ispirato da un canone di reciproca buona fede, l’uscente non ha mai potuto contare su una compensazione di ciò che aveva scelto autonomamente di strutturare per la più profittevole gestione della propria attività economica”.
Dopo le ripetute iniziative del governo Meloni di aggirare la Bolkestein, tramontate definitivamente con la legge che impone le gare per le concessioni, è naufragato quindi il anche il maldestro tentativo di regalare agli ex-concessionari una cospicua buonuscita.
Non sarebbe giunto il momento che il governo si confrontasse con le associazioni ambientaliste e di tutela dei consumatori per riportare finalmente la gestione del demanio marittimo nel solco dei beni comuni, nel rispetto della natura e dei diritti costituzionali?