LA FINE DELL’IMPERO BALNEARE ….e il nostro grido disperato a chi governa: “non abbandonate le spiagge!

Le hanno provate proprio tutte.
Tutto è iniziato quando la ormai celebre Direttiva Bolkestein , la numero 123 dell’anno 2006, ha imposto che “qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza”.
Per non sapere né leggere né scrivere, l’allora governo Berlusconi nel 2009 ha prorogato tutte le concessioni in essere fino al 2015; ha poi recepito nell’ordinamento italiano la Direttiva, con il decreto legislativo numero 59 del 2010.
Giunto vicini a questa nuova scadenza, il Governo Monti, invece di adeguarsi alla nuova disciplina, ha nuovamente prorogato le concessioni, fino al 2020. A questo punto è intervenuta per la prima volta la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che nel 2016, con la sentenza nota come Promoimpresa, ha dichiarato definitivamente che la Direttiva Bolkestein si dovesse applicare anche alle concessioni balneari, bollando come illegittima qualsiasi proroga.
Ma la politica si è ingegnata ancora: il Governo Renzi ha avviato l’iter per l’approvazione di una legge che prevedesse i bandi; il problema? I bandi previsti da quel disegno di legge (a firma del Ministro Costa figlio) erano tutt’altro che imparziali, perché prevedevano un punteggio più alto per chi avesse “esperienza nel settore”, ovvero per i concessionari uscenti.
Arriva il governo Conte I: nuova proroga fino al 2033; il Consiglio di Stato ribadisce: nessuna proroga è ammessa. Risponde il Governo Conte, stavolta il secondo, stabilendo una proroga ammessa per il periodo di tempo (senza scadenza quindi potenzialmente infinito) necessario a predisporre i nuovi bandi. Torna dunque ad esprimersi il Consiglio di Stato nel 2021, con le sentenze “gemelle” 17 e 18 dell’Adunanza Plenaria: ora basta. Possiamo tollerare la permanenza delle concessioni illegittime fino al 31 Dicembre 2023, per consentire ai Comuni di redigere i bandi. Ma non oltre.

Anche la recente sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 32559/2023 che ha annullato la sentenza n. 18 delle “Gemelle” del Consiglio di Stato per un difetto di rito, non modifica nulla rispetto alla imminente scadenza del 31.12.2023  , non solo perchè la Suprema Corte si è fermata all’ accoglimento del primo motivo impugnatorio (quello relativo alla estromissione dal giudizio delle associazioni e degli Enti che invece si ritenevano legittimati a parteciparvi ) ma soprattutto perchè  il termine di scadenza del 31.12.2023 è stato fissato dalla legge Delega del Governo Draghi n.118/2022 dopo la sentenza del CdS . Tale data inoltre non è superabile in quanto sia il Consiglio di Stato che numerosi TAR si sono già espressi dichiarando non conformi al diritto UE   l’ulteriore proroga tecnica al 31.12.2024 -prevista dalla stessa legge Delega- e quella al 31.12.2025 inserita nella legge del Governo Meloni, con la quale è stato istituito il Tavolo Tecnico per valutare la “scarsità della risorsa”.

Ora che questo termine si avvicina inesorabilmente, il Governo Meloni ha scelto di adottare una diversa strategia, che vorremmo premiare come quella più fantasiosa: la mappatura delle spiagge. Da questa mappatura risulterebbe che appena il 33% delle spiagge italiane sarebbe data in concessione, mentre il restante 67% sarebbe ancora libero. Quindi, “perché non diamo in concessione quel 67% di spiagge libere, utilizzando i bandi imparziali, per far sfogare il mercato, conservando invece il 33% agli attuali concessionari?”. Peccato, poi, che in quel 67% rientrino i porti, le scogliere, le foci dei fiumi, le aree non balneabili perché inquinate, le zone a riserva integrale; e peccato che in alcune località la percentuale di spiagge in concessione salga fin sopra il 90%.

Le hanno provate proprio tutte, ma nonostante questo la Commissione Europea è stata molto chiara nel suo parere motivato del 16 novembre u.s. : le concessioni non possono essere più prorogate, per nessun motivo . Gli attuali concessionari sono illegittimi. l’Italia ha appena due mesi per adeguarsi, poi sarà deferita alla Corte di Giustizia UE che la condannerà a pagare una multa, un’altra salatissima multa all’Europa, tutta sulle spalle dei contribuenti, al solo scopo di salvare la rendita di posizione di una categoria ristretta di persone.

In tutto ciò c’è un grande assente: la Politica. La Politica, con pochissime, e decisamente marginali, eccezioni, che ha deciso di sottomettersi completamente alla volontà delle associazioni di categoria degli imprenditori balneari, dimenticandosi del tutto di tre questioni cardine, che sono rimaste prive di qualsiasi tipo di rappresentanza politica:

  • i diritti dei bagnanti;
  • i diritti dei lavoratori del settore;
  • la tutela dell’ecosistema – spiaggia.

In questo momento così decisivo, il rischio è che tutte queste sentenze piombino sul nostro Paese come una mannaia, lasciando le spiagge abbandonate a loro stesse, senza nessuno che se ne prenda cura. Per questo rivolgiamo a chi oggi governa un grido disperato: “non abbandonate le spiagge!”. Perché se è vero che le concessioni sono illegittime e che non potranno più essere considerate valide, trasformando di fatto in occupanti abusivi tutti i gestori che non abbandoneranno il proprio lido, è vero anche che già da tempo si sarebbe dovuto pensare al destino di queste spiagge che, si sapeva, prima o poi sarebbero tornate in mano pubblica.

Per noi questa è appunto una grande occasione per ristabilire il principio della natura pubblica del demanio marittimo e liberarlo dalla morsa di chi, gestendolo per decenni (in alcuni casi anche più di un secolo), se ne sentiva ormai proprietario, traendo da esso infiniti vantaggi, economici, ma non solo: vantaggi anche in termini di potere politico e contrattuale con le amministrazioni di ogni livello, che spesso, infatti, sono state soggiogate al volere e agli interessi parziali dei padroni del mare.

Questa deve essere l’occasione irripetibile per adottare un modello di gestione degli arenili completamente diverso, riassumibile in alcuni semplici punti:

  • garantire che almeno il 50% della superficie delle spiagge sabbiose o comunque balneabili di ogni comune sia riservata alla pubblica fruizione (eventualmente con l’erogazione di servizi come piccolo chiosco bar, noleggio lettini, salvamento, docce calde);
  • prevedere che l’istituto della concessione torni ad essere un’eccezione, e che i comuni tornino ad una gestione diretta degli arenili;
  • assicurare che, qualora si dovesse eccezionalmente ricorrere alla concessione a privati del demanio, essa abbia durata massima di 10 anni e sia assegnata previa procedura a pubblica evidenza che premi l’assegnazione a cooperative di lavoratori;
  • predisporre dei Piani Costa territoriali a bassissimo impatto antropico, che prevedano la rimozione di tutte le strutture al termine della stagione, che escludano l’utilizzo di qualsiasi recinzione, che aiutino una totale compenetrazione tra ambiente urbano (dove presente) e spiaggia, e che vincolino le concessioni a progetti elaborati dalle amministrazioni pubbliche;
  • formulare normative apposite che tutelino gli operatori del settore turistico ricreativo delle spiagge che promuovano la destagionalizzazione del lavoro, favorendo l’assunzione pubblica per l’erogazione dei servizi di salvamento, pulizia spiaggia e altre funzioni di pubblica utilità;
  • stabilire  il principio che agli Enti Locali concedenti, onerati del maggior sforzo logistico, pianificatorio e finanziario nella gestione delle concessioni, debba essere riconosciuta una quota congrua delle entrate erariali derivanti dai canoni, anche  per poter far fronte ai servizi pubblici che dovranno essere ricondotti alla loro competenza;
  • adeguarsi alle nuove linee guida dell’Unione Europea, già recepite dal Ministero della Transizione ecologica, in materia di lotta all’erosione, per interrompere la realizzazione e prevedere la rimozione delle strutture impattanti, e per favorire invece, per quanto possibile, il naturale processo di autodifesa del sistema spiaggia, realizzabile con un difficile ma necessario processo di rinaturalizzazione.