E’ abbastanza semplice rendersi conto di come in questo particolare momento che vede sempre più avvicinarsi la fine del monopolio degli attuali concessionari balneari sui beni di tutti, i siti specializzati, megafoni delle lamentele e delle lacrime di coccodrillo dei signori della sabbia, insistano nella pubblicazione di fantasiose, quanto tendenziose, ricostruzioni giuridiche (?) che hanno ad oggetto i provvedimenti giurisdizionali emanati dalla giurisprudenza italiana e comunitaria in materia di concessioni demaniali e di demanio marittimo in generale. I motivi sono facilmente comprensibili: sensibilizzare il più possibile l’opinione pubblica e la classe politica della bontà delle loro ragioni (poche). Orbene, più vengono immesse frottole e/o argomenti disinformativi nel circuito mediatico, più la nostra opera di debunking delle bufale pubblicate sarà resa stimolante e verrà sistematicamente diffusa, sentenze alla mano, per informare ed indirizzare la pubblica opinione verso una corretta lettura di quanto la giurisprudenza partorisce in ordine a tutta la tematica delle concessioni demaniali marittime a scopo turistico ricreativo.

L’ ultima in ordine cronologico riguarda la lettura capovolta che l’allegro mondo dei concessionari balneari ha fornito dell’ordinanza del Consiglio di Stato -Sezione VII, n. 8184- pubblicata il 6 settembre u.s. 

Secondo le ricostruzioni di comodo della lobby balneare, il Consiglio di Stato con tale ordinanza avrebbe infatti stabilito che l’incameramento di opere non amovibili realizzate sul demanio marittimo non potrebbe avvenire senza un congruo indennizzo al concessionario uscente. Tale ricostruzione, come verrà detto meglio di seguito, è completamente errata e fuorviante: il Consiglio di Stato ha solo chiarito alla Corte di Giustizia UE qual è il momento in cui ha luogo l’incameramento secondo la legislazione e la giurisprudenza italiane, ovvero automaticamente alla scadenza della concessione e non nel caso di rinnovi o proroghe della stessa. Secondo le stesse fonti un altro principio sarebbe contenuto nella stessa ordinanza, e cioè che il bene demaniale, ovvero la spiaggia ed eventuali partinenze, beni utilizzati per l’esercizio dell’impresa balneare,  qualora il concessionario non potesse proseguirvi la sua attività, in quanto non più assegnatario di quella specifica concessione, possano essere oggetto di indennizzo. In buona sostanza il concessionario uscente avrebbe diritto a un risarcimento per la perdita di quel bene non suo. Qui forse l’interpretazione è addirittura pretestuosa, in quanto si omette di ricordare che l’oggetto della concessione è l’utilizzo, seppur esclusivo, del bene e non il bene in quanto tale, che per sua natura di bene pubblico è inalienabile, anche temporaneamente. Quindi, dopo che il bene oggetto della concessione, la spiaggia, è stato utilizzato, deve essere restituito senza che alcun indennizzo possa essere reclamato.

Per maggior chiarezza, ripercorriamo le fasi della vicenda.

Nel corso di un giudizio di appello contro la pronuncia del Tar Toscana, che poi riprenderemo, (sentenza n. 380/2021 parti processuali: Sindacato Italiano Imprese Balneari S.r.l.- Comune di Rosignano Marittimo + altri), la settima sezione del Consiglio di Stato ha deciso di avvalersi dell’ art. 267 del Trattato sul Funzionamento dell’ Unione Europea (T.F.U.E.) per sottoporre in data 15 settembre 2022, badate bene, un anno fa  alla Corte di Giustizia dell’ Unione Europea (C.G.U.E.) la seguente questione pregiudiziale: “Se gli artt. 49 e 56 TFUE ed i principi desumibili dalla sentenza Laezza (C- 375/14) ove ritenuti applicabili, ostino all’interpretazione di una disposizione nazionale quale l’art. 49 cod. nav. nel senso di determinare la cessione a titolo non oneroso e senza indennizzo da parte del concessionario alla scadenza della concessione quando questa venga rinnovata, senza soluzione di continuità, pure in forza di un nuovo provvedimento, delle opere edilizie realizzate sull’area demaniale facenti parte del complesso di beni organizzati per l’esercizio dell’impresa balneare, potendo configurare tale effetto di immediato incameramento una restrizione eccedente quanto necessario al conseguimento dell’obiettivo effettivamente perseguito dal legislatore nazionale e dunque sproporzionato allo scopo” .

Il tema riguarda l’art. 49 del Cod. Nav. rubricato “Devoluzioni delle opere non amovibili” che così recita: Salvo che sia diversamente stabilito nell’atto di concessione, quando venga a cessare la concessione, le opere non amovibili, costruite sulla zona demaniale, restano acquisite allo Stato, senza alcun compenso o rimborso, salva la facoltà dell’autorità concedente di ordinarne la demolizione con la restituzione del bene demaniale nel pristino stato. In quest’ ultimo caso, l’amministrazione, ove il concessionario non esegua l’ordine di demolizione, può provvedervi a termini dell’articolo 54”.

La giurisprudenza ormai univoca del Consiglio di Stato e dei Tar regionali ha chiarito che la devoluzione (ovvero l’ incameramento ai beni dello Stato) dei manufatti di difficile rimozione che si trovano sopra il suolo demaniale marittimo opera (o che essa sia prevista esplicitamente dalle condizioni concessorie o, in assenza di queste, direttamente dall’ art. 49 c.n., non importa), solo al momento della scadenza effettiva del termine concessorio che coincide con la cessazione definitiva dell’ efficacia della concessione demaniale e non invece se si è in presenza di proroghe o rinnovi automatici e generalizzati dell’ efficacia delle concessioni stesse.

In buona sostanza se c’è stata una proroga automatica e generalizzata per legge (a questa la giurisprudenza equipara il  rinnovo automatico anch’ esso in forza di una norma di legge)  della concessione, quindi se questa è proseguita senza soluzione di continuità, i giudici di Palazzo Spada hanno da tempo stabilito che non è possibile incamerare i manufatti a favore dello Stato ex art. 49 Cod. Nav., in quanto la concessione è sempre la stessa che “continua”  e che quindi non può considerarsi scaduta.

Se invece la concessione è scaduta (senza rinnovi automatici o proroghe) e il concessionario chiede e ottiene il singolo rinnovo della sua concessione, la giurisprudenza, ritenendo di essere in presenza di una nuova concessione che ha “spezzato” il rapporto con quella precedente, ritenuta scaduta, e che quindi per questo fatto “via sia soluzione di continuità con la precedente”, applica l’art. 49 Cod. Nav. e quindi dichiara avvenuta la devoluzione gratuita dell’ex bene aziendale manufatto al demanio marittimo dello Stato con le conseguenze del caso soprattutto in tema di canoni demaniali.

Il Consiglio di Stato, nonostante questo orientamento ormai consolidato che distingue e le due situazioni tra loro differenti e precisamente:

1) proroga (o rinnovo automatico) generalizzata/o per legge -non opera la devoluzione allo Stato in quanto non c’è soluzione di continuità-;

2) scadenza effettiva con richiesta successiva di singolo rinnovo che viene equiparato a nuova concessione da parte dello stesso concessionario -opera la devoluzione allo Stato in quanto c’è soluzione di continuità-,

ha sentito comunque il bisogno del conforto alla CGUE, chiedendo ad essa (questione pregiudiziale, datata, ripeto il 15 settembre 2022), se l’art. 49 Cod. Nav. sia conforme al diritto eurounitario anche nel momento in cui esso venisse applicato in presenza di un  rinnovo automatico della concessione (quindi nel caso n. 1 e cioè di continuazione di efficacia della concessione precedente in quanto non c’è soluzione di continuità e non, attenzione, anche nel caso n. 2 di nuova concessione, dando quindi per scontato che quest’ultima ipotesi l’ incameramento non crei nessun problema) con la conseguenza che le opere di non facile rimozione verrebbero incamerate senza indennizzo per il concessionario che le ha installate o che se le è ritrovate nel momento del subentro della concessione stessa.

Al fine di vagliare la ricevibilità di questa questione pregiudiziale datata 15 Settembre 2022, e prima di pronunciarsi sul merito della vicenda, la Corte di Giustizia ha richiesto al giudice rimettente (Consiglio di Stato) documentati chiarimenti in ordine a taluni fatti del giudizio principale.

Prendiamo in esame il II e il III chiarimento richiesti dalla C.G.U.E., che ineriscono alla tematica dell’49 Cod. Nav.

Con il II chiarimento la C.G.U.E., in buona sostanza, chiede al Consiglio di Stato se essa potrà, nel momento in cui dovrà decidere la questione pregiudiziale ad essa sottoposta, assumere per buona la posizione maggioritaria della giurisprudenza italiana che applica l’art. 49 Cod. Nav. solo nel caso di richiesta di rinnovo singolo di una concessione scaduta in quanto il rinnovo a differenza della proroga, comporta la nascita di una nuova concessione spezzando il legame con la precedente (caso n. 2 sopra). Chiede inoltre se, in questo caso, la devoluzione (incameramento)  ai  beni dello Stato del manufatto che serviva per l’ attività balneare avviene automaticamente, e di conseguenza il provvedimento futuro che sarà chiamato ad accertarlo avrà mera efficacia dichiarativa-ricognitiva di un effetto già avvenuto, oppure se esso, invece, avrà efficacia costitutiva e cioè conformerà lui stesso l’ incameramento ai beni demaniali dello Stato del manufatto con le conseguenti determinazioni a livello giuridico.

Il Consiglio di Stato, rispondendo alle richiese della C.G.U.E., chiarisce preliminarmente la vicenda affermando che “l’effetto devolutivo (incameramento ai beni demaniali dello Stato del manufatto oggetto dello stabilimento balneare) si produce al momento scadenza della concessione e di conseguenza il provvedimento di incameramento ha un mero effetto dichiarativo-ricognitivo.”

Poi si presta a spiegare la metodologia adottata nella prassi dalla giurisprudenza italiana nell’ applicazione dell’art. 49 Cod. Nav. : “la giurisprudenza amministrativa ha interpretato detta disposizione (e tale è dunque lo stato del diritto positivo italiano) nel senso che siffatto meccanismo opera sia all’atto del rilascio e della scadenza della prima concessione, sia quando, dopo la sua prima scadenza, sia rilasciata una nuova concessione anche identica alla precedente, anche innumerevoli volte. In questo caso, trattandosi di nuovo rilascio, si parla di rinnovo, che si contraddistingue per il fatto che c’è una soluzione di continuità fra i titoli, nel senso che un rapporto cessa e un altro, nuovo, inizia subito dopo a decorrere, disciplinato dal titolo successivo”.

In buona sostanza i giudici italiani rappresentano alla Corte di Giustizia la casistica delle due tipologie a cui si accennava sopra, spiegando ai giudici europei la differenza di approccio della giurisprudenza amministrativa italiana a seconda della presenza o meno della soluzione di continuità tra le concessioni.

Se c’è soluzione di continuità (nuovo rapporto) tra la prima concessione e le altre (anche “innumerevoli”), si incamera il manufatto senza indennizzo.

Se invece non c’è soluzione di continuità il rapporto è sempre quello perché cambia solo la data di scadenza e di conseguenza non è possibile incamerare.

Molto interessante anche la preoccupazione che il Consiglio di Stato rappresenta alla Corte di Giustizia in tema di certezza del diritto, in quanto, correttamente, i giudici di Palazzo Spada rappresentano le difficolta operative per gli stessi operatori balneari in quanto  il diritto positivo  italiano e la prassi amministrativa impediscono al  concessionario  (uscente e aspirante)  di rendersi conto di qual è il momento preciso in cui si produce l’effetto sfavorevole nella sua sfera giuridica e questo è un problema serio di garanzie sostanziali e processuali costituzionalmente garantite.

Con il III chiarimento la Corte di Giustizia chiede al Consiglio di Stato se l’incameramento oggetto del giudizio di rinvio, sia avvenuto prima del 28.12.2009 (termine ultimo per il recepimento della direttiva Bolkestein) in quanto, se così fosse, si sarebbe applicato direttamente il Trattato di Lisbona (T.F.U.E.) ed in particolare l’art. 49 (Libertà di Stabilimento) in presenza di un interesse transfrontaliero certo della concessione (e cioè della rilevanza economica di essa). Dal momento che dagli atti di rinvio del 15 di settembre del 2022 non risultava nessuna indicazione comprovante tale interesse transfrontaliero certo, la Corte specifica che in ogni caso il principio sulla Liberta di Stabilimento si applicherebbe lo stesso in presenza di alcuni requisiti che essa stessa indica.

Il Consiglio di Stato nella risposta è categorico su due importantissimi principi: 1) il bene spiaggia è una risorsa scarsa; 2) il principio della tutela della Libertà di Stabilimento, in ogni caso, si applica anche prima del recepimento della Direttiva Bolkestein nell’ ordinamento italiano e cioè prima del 28.12.2009.

Vediamo la risposta formale: “La Sezione, come si è già precisato in risposta al chiarimento n. 1, ritiene che la devoluzione sia avvenuta in data 31 dicembre 2008 e che pertanto sia applicabile l’articolo 49, TFUE, relativo alla libertà di stabilimento. La concessione demaniale in questione, ad avviso della Sezione, presenta un «interesse transfrontaliero certo» in quanto la risorsa materiale è scarsa e il mercato di riferimento, caratterizzato dall’impiego strumentale del bene per la prestazione di servizi dietro remunerazione, attrae gli investimenti sia degli operatori economici nazionali, sia di quelli degli altri Stati membri, divenendo il bene demaniale, nella sostanza, uno degli elementi dell’azienda e, dunque, dell’impresa economica. Pertanto, al di là del fatto che nel giudizio principale l’operatore economico ricorrente sia un’impresa italiana, nulla sarebbe mutato se invece si fosse trattato di un operatore di un altro Stato membro, essendo il diritto positivo applicabile il medesimo”.

Quindi come si può leggere una ricostruzione completamente diversa rispetto a quella millantata al megafono dalle associazioni dei balneari pronti ad esultare ululando falsamente alla luna di un art. 49 Cod. Nav. incompatibile con il diritto eurounitario od addirittura incostituzionale quando  la C.G.U.E. non si è ancora pronunciata e il Consiglio di Stato la questione non l’ha sollevata il 6 Settembre scorso, bensì il 15 settembre di un anno fa….

Al contrario delle bufale lanciate appositamente nel mercato mediatico delle informazioni tendenziose, la giurisprudenza italiana non ha mai avuto dubbi in ordine alla legittimità costituzionale dell’art. 49 Cod. Nav. e alla bontà di detta norma, presidio fondamentale contro i comportamenti dei “furbetti della sabbia” e tutela importante per la salvaguardia del patrimonio demaniale. Vediamo di riportare le sentenze maggiormente significative partendo proprio dal giudizio di 1° del Tar Toscana al quale ha fatto seguito l’appello al Consiglio di Stato nel corso del quale si è poi chiesto il rinvio pregiudiziale alla C.G.U.E., guarda caso completamente disatteso (chissà perché) dagli attenti siti specializzati e dalle associazioni dei concessionari balneari:

  • Tar Toscana, Sez. III, n. 380 del 10.03.2021: “L’art. 49 del codice della navigazione statuisce che “Salvo che sia diversamente stabilito nell’atto di concessione, quando venga a cessare la concessione, le opere non amovibili, costruite sulla zona demaniale, restano acquisite allo Stato, senza alcun compenso o rimborso, salva la facoltà dell’autorità concedente di ordinarne la demolizione con la restituzione del bene demaniale nel pristino stato”. Pertanto, stante l’inciso “salvo che sia diversamente stabilito nell’atto di concessione”, la regola dell’acquisizione gratuita è condizionata dal consenso delle parti, le quali potrebbero prevedere un diverso regime giuridico delle pertinenze demaniali marittime nella formulazione dell’atto di concessione (ad esempio prevedere un corrispettivo economico a carico dell’ente pubblico). Non può quindi parlarsi di una surrettizia espropriazione senza indennizzo, in quanto se il privato, prima dell’affidamento del bene, non ha espresso un contrario avviso all’effetto della devoluzione al patrimonio statale, significa che ha accettato la mancanza della diversa pattuizione ammessa dall’art. 49 del codice della navigazione. Della serie: la norma ti concedeva la possibilità di derogare all’ effetto devolutivo gratuito (quindi non te lo imponeva), non te ne sei avvalso e adesso critichi la norma?
  • Tar Liguria Sez. I, n. 133 del 18.02.2020: “ Le censure di illegittimità costituzionale sollevate da parte ricorrente sono infondate in quanto la norma non esclude la possibilità per il concessionario di ottenere, con diverse declinazioni, il rimborso o un compenso per le opere non amovibili realizzate sulla zona demaniale, limitandosi a rimettere all’autonomia privata e, quindi, alla contrattazione tra le parti l’inserimento o meno di una specifica pattuizione al riguardo nell’ambito del rapporto concessorio. Si tratta a ben vedere di una norma avente carattere “suppletivo” perché interviene, con la disciplina contestata, solo laddove le parti non abbiano concordato diversamente, esclusivamente in tal caso imponendo, quindi, una soluzione che, proprio per la sua residualità, non risulta irragionevole, perché dettata a tutela dell’interesse pubblico senza distingue tra miglioramenti e mere addizioni e valorizzando l’eventuale interesse al mantenimento delle opere senza alcun costo per la P.A. La derogabilità negoziale della disposizione, quindi, rende la stessa pienamente legittima, sicché anche tale motivo di impugnazione deve essere respinto”.
  • Consiglio di Stato, VII, Sez. n. 9328 del 28.10.2022 (Appello al Tar Liguria 133/2020)

“Anche l’ottavo motivo, con il quale si eccepisce l’illegittimità costituzionale dell’art.49 cod. nav. nella parte in cui non prevede la corresponsione di un indennizzo a favore del concessionario che abbia realizzato sul suolo demaniale opere non amovibili, non può essere accolto. Come, infatti, correttamente argomentato dal giudice di primo grado, la norma è contraddistinta da un’efficacia sussidiaria, essendo applicabile soltanto qualora le parti non abbiano diversamente previsto nella concessione. La scelta, quindi, dell’appellante di subentrare in un rapporto concessorio già precostituito in cui non era prevista la corresponsione di alcun indennizzo per le opere in questione non legittima la censura sull’applicazione di una norma dispositiva non derogata per volontà delle parti. In tal senso, quindi, l’appellante patisce un pregiudizio di fatto non idoneo ad incidere sulla costituzionalità della norma in esame”. Le due pronunce sono altrettanto chiare: hai scelto liberamente di subentrare in rapporto del quale conoscevi i contenuti contrattuali che prevedevano l’incameramento senza indennizzo e adesso vuoi porre in dubbio la costituzionalità della norma? In un’altra vita e/o in un altro ordinamento…forse…

  • Sempre il Tar Liguria, Sezione I, n. 253 del 04.04.2022, già commentata su queste pagine (https://www.marelibero.eu/tar-liguria-incameramenti-degli-stabilimenti-pienamente-legittimi/ ). I giudici liguri nella loro autonomia decisionale non hanno sentito il bisogno di interpellare pregiudizialmente la C.G.U.E. ritenendo, da una parte, “pienamente compatibile l’art. 49 Cod. Nav. con il “diritto dell’Unione e europea in quanto esso costituisce specificazione di una norma generale di diritto comune, ossia l’art. 934 cod. civ.: è dunque nella proprietà pubblica del bene cui “accedono” le opere “non amovibili” realizzate dal privato che se ne giustifica l’acquisto gratuito e di diritto” ; dall’altranon hanno ritenuto di prendere in considerazione la famosa “sentenza Laezza” perché essa, leggete bene,riguarda l’attività di giochi e scommesse svolta dal privato nei propri locali”. Come dire: i giochi e le scommesse sono una cosa, le concessioni demaniali marittime a scopo turistico ricreativo, un’altra.

Quest’ultima pronuncia ci offre anche l’aggancio per demolire quelle interpretazioni dottrinali ad usum “bagnini” (è giusto, loro pagano e la dottrina scrive) che periodicamente si vedono pubblicate per legittimare e reclamare una sorta di risarcimento-indennizzo che si riterrebbe doveroso (da chi e per cosa non si capisce, però), per diritto divino e/o naturale, devolvere ai concessionari balneari se dovessero non vincere le future evidenze pubbliche. Questo perché  esistono letture “balneari” che strumentalizzano un passaggio dell’ordinanza 8184 del 6 settembre del Consiglio di Stato il quale non aveva altro scopo che confermare la natura di interesse transfrontaliero certo (quindi di appetibilità economica) immanente all’ l’istituto delle concessioni demaniali a scopo turistico ricreativo proprio per la loro  caratteristica di fornire l’ utilizzo ai privati di un bene pubblico, mentre se ne è divulgata una lettura come se esso, invece, avesse apposto al bene demanio marittimo (quindi ad un bene pubblico, di tutti noi), il sigillo di bene indennizzabile a favore del concessionario uscente che potrebbe non più utilizzarlo. Sinceramente ne abbiamo lette di migliori…più spiritose ma anche questa è carina. Leggiamo il passaggio: “ La concessione demaniale in questione, ad avviso della Sezione, presenta un «interesse transfrontaliero certo» in quanto la risorsa materiale è scarsa e il mercato di riferimento, caratterizzato dall’impiego strumentale del bene per la prestazione di servizi dietro remunerazione, attrae gli investimenti sia degli operatori economici nazionali, sia di quelli degli altri Stati membri, divenendo il bene demaniale, nella sostanza, uno degli elementi dell’azienda e, dunque, dell’impresa economica.” Cosa dice il passaggio motivazionale?  Semplicemente che il bene demaniale, la spiaggia, la sabbia, come bene di tutti noi e non di proprietà dell’imprenditore balneare, è stato dato in concessione-contratto ad un privato per la sua attività di impresa. E siccome l’appetibilità economica (interesse transfrontaliero certo), il business attrattivo, deriva proprio dal fatto che un bene pubblico è utilizzato ai fini privati per scopo di lucro, per attività di impresa privata, al business devono poter partecipare anche i diversamente balneari attuali e futuri, italiani e non. Il Consiglio di Stato non ha fatto altro che riprendere il concetto civilistico di azienda (art. 2555 c.c. esame di Diritto Privato del 1° anno), di cui il mondo giuridico è a conoscenza da tempi remoti. L’ imprenditore balneare per l’esercizio dell’impresa può utilizzare, insieme ai beni aziendali materiali di sua proprietà (ombrelloni, lettini, sdrai, paletti, cabine, chioschi, ecc..), anche beni di altri in forza di contratti di locazione, permuta, affitto, ecc. e tra i beni non suoi, ripeto, non suoi, ha maggiore rilevanza, proprio perché pubblico,  il bene demaniale spiaggia per l’utilizzo del quale la legge impone l’istituto della concessione. Ma da qui a dar poi d’ intendere che per effetto di quell’ utilizzo ai fini aziendali e/o d’ impresa che dir si voglia del bene spiaggia, ne derivi un diritto risarcitorio o indennitario a favore del concessionario uscente che potrebbe non utilizzare più, badate bene, un bene che non è mai stato suo e mai lo sarà, ma un bene di tutti noi, e cioè la spiaggia, la sabbia, che egli ha detenuto solo in forza di una concessione-contratto, sono necessarie parecchie dosi (e non di modica quantità)  di fantasia. E se, per esempio, al concessionario fosse imposto (come prevedono le condizioni di concessione) di demolire tutto, portarsi nel garage di casa tutto quello che c’è sulla sabbia e ripristinare la spiaggia nuda e cruda, com’ era prima, per cosa dovrebbe essere indennizzato e da chi? E se anche lo Stato incamerasse il bene-manufatto di non facile rimozione e poi decidesse di non utilizzare la modalità concessoria, né per la sabbia né per il manufatto ma optasse per una gestione diretta dell’ente pubblico, per cosa e da chi dovrebbe essere indennizzato il concessionario uscente? Si vuol far pagare alla comunità, a noi cittadini, un costo per un bene che è già nostro, di tutti? In un altro ordinamento, forse, in un altro pianeta.

In conclusione, il contenuto delle sentenze in tema di art. 49 Cod. Nav. è chiaro e l’interpretazione della giurisprudenza è consolidata da anni. Poi la si può raccontare come si vuole ma più si divulgano bufale in merito e più il Coordinamento Nazionale Mare Libero è stimolato a riportare nei giusti binari quello che la giurisprudenza produce.

Roberto Biagini ( CO.NA.MA.L.)