L’Italia è il paese delle spiagge: su oltre 8.000 chilometri di costa, 4.700 sono costituiti da costa naturale bassa, per lo più spiagge sabbiose, spesso collocate in splendide cornici naturali. Su di esse è via via cresciuta l’industria balneare: le concessioni demaniali a scopo turistico-ricreativo, chiamate stabilimenti, lidi o bagni a seconda della regione, sono passate da 10.812 nel 2018 a 12.166 nel 2021 con un aumento del 12,5 percento in soli tre anni.  Un giro d’affari (affari contrassegnati spesso da evasione fiscale e lavoro nero) di 10 miliardi di Euro a fronte di canoni pagati allo Stato per soli 100 milioni. Risultato: più del 50 percento delle spiagge fruibili della penisola, quelle più belle e più facilmente accessibili, sono occupate dalle strutture delle concessioni, a volte con piscine, ristoranti, impianti termali e centinaia di cabine, contribuendo tra l’altro al dissesto ambientale e paesaggistico.

Le spiagge libere in molte regioni e nelle località più famose sono sempre meno, spesso situate in aree degradate o difficilmente fruibili, o addirittura assenti, come a Gatteo, Pietrasanta o Camaiore. Una situazione imbarazzante che da anni rimbalza anche sui media internazionali,  sottolineando la necessità di un ripensamento generale del sistema del turismo balneare in Italia, tenuto soprattutto conto delle gravi minacce dell’erosione costiera e dei cambiamenti climatici.

La storia va avanti da decenni: la direttiva europea cosiddetta Bolkestein, recepita in Italia nel 2010, è stata aggirata con continue proroghe sino ad oggi, garantendo ai concessionari una situazione di monopolio su uno dei più preziosi beni pubblici del paese: le spiagge sono diventate beni di famiglia che si passano di padre in figlio. L’attuale Governo, dopo le numerose sentenze della Corte Costituzionale, del Consiglio di Stato (l’ultima in ordine di tempo la  7992 del 28 agosto 2023) e della Corte di Giustizia Europea che impongono bandi di gara pubblici, tenta in extremis di eludere ancora la Bolkestein, addirittura cercando di dimostrare, contro ogni evidenza logica e pratica, che le spiagge italiane non sono una “risorsa scarsa”, ma anzi che è possibile rilasciare ancora concessioni: i balneari le vorrebbero persino sulle scogliere.

Il Coordinamento Nazionale Mare Libero, con una intervista del Presidente Avv. Roberto Biagini, ribadisce quanto sostenuto finora: le gare vanno fatte ma deve essere rispettato il principio di equilibrio tra spiagge libere e spiagge in concessione. La politica, locale e nazionale, da sempre genuflessa agli interessi della lobby balneare, si deve assumere finalmente l’onere di emanare i decreti attuativi della legge Draghi sulla concorrenza (Legge 5.8.2022, artt 3 e 4) e mettere i Comuni in condizione di adottare gli atti necessari per le gare.

Le spiagge in ogni caso rimangono dove sono, anche senza concessioni, e possono ritornare alla loro funzione naturale, bene comune destinato alla libera fruizione collettiva.