Pubblichiamo un parere giuridico del  Prof. Avv. Alberto Lucarelli (Ordinario di Diritto costituzionale Università degli Studi di Napoli Federico II) e dell’Avv. Maria Chiara Girardi (Ricercatrice di Diritto costituzionale Università degli Studi di Napoli Federico II) secondo cui Mare Libero risulta un ente sicuramente legittimato ad impugnare dinnanzi al TAR una proroga automatica delle concessioni demaniali marittime.

Oggetto: parere giuridico pro bono per il Co.Na.Ma.L.

Com’è noto, in tema di concessioni demaniali marittime a scopo turistico-ricreativo, la direttiva Servizi 123/2006/CE, c.d. direttiva Bolkestein, prevede che «qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza e preveda, in particolare, un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento […] l’autorizzazione è rilasciata per una durata limitata adeguata e non può prevedere la procedura di rinnovo automatico né accordare altri vantaggi al prestatore uscente o a persone che con tale prestatore abbiano particolari legami».
La direttiva è stata recepita dal legislatore italiano con il d.lgs. n. 59 del 2010, imponendo un adeguamento della disciplina interna delle concessioni demaniali marittime alla normativa europea. Peraltro, già i principi di libertà di stabilimento e libera prestazione dei servizi, di cui agli artt. 49 e 56 TFUE, richiedevano una parità di trattamento tra i cittadini dellUnione nell’affidamento delle concessioni demaniali.
Ciononostante, dopo il recepimento della direttiva, l’Italia non ha poi mai adeguato la disciplina interna agli obblighi europei, mantenendo un regime di proroghe automatiche e generalizzate e un diritto di preferenza (c.d. diritto di insistenza) a favore del concessionario uscente (sul diritto di insistenza, v. art. 37, comma 2, Codice della Navigazione; art. 1, comma 1, legge n. 400 del 1993; legge n. 296 del 2006). In ragione di tale difformità la Commissione europea ha avviato una prima procedura di infrazione nei confronti dellItalia. In particolare, la Commissione ha censurato il diritto di insistenza, previsto dall art 37, comma 2, del Codice della navigazione, ritenuto in contrasto con la normativa di cui allart 49 TFUE a tutela della libertà di stabilimento. Infatti, il criterio di preferenza accordato al concessionario uscente nelle procedure di affidamento restringeva il campo della libertà di stabilimento, determinando forme di discriminazione basate sul luogo di insediamento dellimprenditore ed impendendo ad altri soggetti il concreto ed effettivo accesso a tali procedure.
A seguito di tale procedura d’infrazione, il legislatore italiano è intervenuto emanando il d.l. 30 novembre 2009, n. 19465, il cui art. 18 ha abrogato il diritto di insistenza, lasciando, tuttavia, inalterata la previsione 1 del rinnovo automatico della concessione alla scadenza. Di conseguenza, la Commissione europea è ulteriormente intervenuta, con una lettera di messa in mora complementare del 5 maggio 2010, evidenziando il persistente contrasto tra la disciplina italiana e l’art. 12 della direttiva Bolkestein, per la mancata previsione di procedure trasparenti imparziali per l’affidamento delle concessioni demaniali marittime.
Successivamente, il legislatore italiano è intervenuto a più riprese, ma, di fatto, sempre prorogando automaticamente le concessioni in essere (l. n. 145 del 2018; d.l. 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla l. 17 luglio 2020, n. 77). Per tale ragione, la Commissione europea ha avviato (il 3 dicembre 2020) una nuova procedura d’infrazione contro l’Italia, per violazione della direttiva Bolkestein.
L’intricato quadro legislativo è stato complicato dal susseguirsi di numerose pronunce giurisprudenziali, che hanno, salvo rarissimi casi, tutte evidenziato l’illegittimità delle proroghe disposte dal legislatore italiano.
In particolare, dapprima, con la nota sentenza Promoimpresa e Melis (14 luglio 2016), la Corte di Giustizia dellUnione europea ha confermato la necessità dell’applicazione della Direttiva Bolkestein alle concessioni demaniali marittime a scopo turistico-ricreativo e la conseguente illegittimità di qualsiasi proroga automatica e generalizzata.
Successivamente, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con le note sentenze gemelle 17 e 18 del 2021, ha confermato l’illegittimità delle proroghe automatiche delle concessioni demaniali marittime. In questa occasione il Consiglio di Stato ha precisato che «Le norme legislative nazionali che hanno disposto (e che in futuro dovessero ancora disporre) la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative compresa la moratoria introdotta in correlazione con l emergenza epidemiologica da Covid-19 dallart. 182, comma 2, d.l. n. 34/2020, convertito in legge n. 77/2020 sono in contrasto con il diritto eurounitario, segnatamente con lart. 49 TFUE e con lart. 12 della direttiva 2006/123/CE.
Tali norme, pertanto, non devono essere applicate né dai giudici né dalla pubblica amministrazione. Ancorché siano intervenuti atti di proroga rilasciati dalla P.A. (e anche nei casi in cui tali siano stati rilasciati in seguito a un giudicato favorevole o abbiamo comunque formato oggetto di un giudicato favorevole) deve escludersi la sussistenza di un diritto alla prosecuzione del rapporto in capo gli attuali concessionari.
Non vengono al riguardo in rilievo i poteri di autotutela decisoria della P.A. in quanto l’effetto di cui si discute è direttamente disposto dalla legge, che ha nella sostanza legificato i provvedimenti di concessione prorogandone i termini di durata. La non applicazione della legge implica, quindi, che gli effetti da essa prodotti sulle concessioni già rilasciate debbano parimenti ritenersi tamquam non esset, senza che rilevi la presenza o meno di un atto dichiarativo dell’effetto legale di proroga adottato dalla P.A. o l’esistenza di un giudicato. Venendo in rilievo un rapporto di durata, infatti, anche il giudicato è comunque esposto all’incidenza delle sopravvenienze e non attribuisce un diritto alla continuazione del rapporto».
Nel coacervo di rinvii, pronunce giurisprudenziali, procedure d’infrazione e impegni disattesi, è stata poi promulgata la legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021 (legge n. 118 del 2022) contenente, tra l’altro, una delega al governo per il riordino e la semplificazione della disciplina delle concessioni demaniali marittime a scopo turistico-ricreativo e per una mappatura informatica dei regimi concessori.
Nonostante siano trascorsi oltre due anni, tuttavia, il decreto legislativo non è ancora stato emanato.
Nel frattempo, la Corte di Giustizia si è nuovamente espressa in materia, con sent. 20 aprile 2023 (causa C-348/22), confermando l’illegittimità delle proroghe automatiche e generalizzate delle concessioni demaniali marittime da parte degli Stati membri e l’obbligo di indire procedure trasparenti ed imparziali per l’affidamento delle stesse, con una durata ragionevole e adeguata.
I giudici europei hanno sottolineato altresì il dovere dei giudici nazionali e delle autorità amministrative, comprese quelle comunali, di disapplicare le disposizioni di diritto nazionale non conformi alle norme europee in materia. Gli obblighi contenuti nella direttiva Bolkestein, secondo la Corte di Giustizia, sono individuati in modo incondizionato e sufficientemente preciso, pertanto sono produttivi di effetti diretti. Ne deriva che l’obbligo di disapplicare le disposizioni nazionali contrarie alle norme europee in merito spetta sia ai giudici, che alle autorità amministrative (comprese quelle comunali).

Le ragioni di tali molteplici e confusi interventi sono da ricondursi, naturalmente, alla grande incertezza e al caos normativo in materia, ma soprattutto alle resistenze corporative di gruppi di imprenditori rappresentati in maniera trasversale in Parlamento.
Vi è l’esigenza, ormai irrinunciabile, di razionalizzare il settore delle concessioni demaniali marittime, allo scopo di favorire la fruizione e l’accessibilità dei beni pubblici. Il prius della riorganizzazione del settore, per scardinare il monopolio dei concessionari privati su beni pubblici, è quello di tutelare la funzione sociale del demanio marittimo, direttamente riconducibile all art. 42 Cost., e, dunque, i diritti dei cittadini, titolari di un diritto fondamentale al godimento e alla fruibilità di beni pubblici. Il principio della concorrenza, secondo una lettura non distorta dello stesso, deve tutelare il mercato con finalità tese a salvaguardare i diritti dei cittadini. È evidente che questa priorità si attua realizzando un adeguato, ragionevole e bilanciato rapporto tra aree in concessione e aree gestite secondo altre modalità, fuori dal mercato e tali da coinvolgere, anche nel rispetto del principio di sussidiarietà di cui all’art. 118 Cost, associazioni e cooperative del territorio. Si tratta di valorizzare la vocazione pubblicistica del demanio marittimo prevedendo aree libere attrezzate. Solamente in questo senso si realizza la vera vocazione della concorrenza servente alla migliore tutela dei diritti dei cittadini.
Ora, naturalmente, tale razionalizzazione non può che derivare da un intervento di riordino del legislatore, dacché nessun intervento giurisprudenziale dato il ruolo ermeneutico e applicativo del diritto che ad essa compete può colmare il caos normativo attuale ed al contrario non può che alimentare la querelle in materia (come l’esperienza ormai quasi decennale ci insegna).
La funzione sociale del demanio marittimo impone che, nell’esercizio del suo potere discrezionale di valutazione, la pubblica amministrazione valorizzi gli aspetti funzionali di tali beni pubblici, ponendo al centro le esigenze dei cittadini, soprattutto consentendo una fruibilità dei beni pubblici nel rispetto dei principi di solidarietà, eguaglianza e giustizia sociale.
Ne consegue che le scelte della pubblica amministrazione assumono un peso notevole in questo contesto; ciò dovrebbe scongiurare la creazione di regimi di monopolio di fatto da parte di concessionari privati, la cui delega di funzioni è ormai totale e scaturisce nelle forme di un vero e proprio “disarmo” del potere pubblico. Al contrario, le istituzioni debbono conservare un ruolo di controllo e di tutela dei beni pubblici, e più in generale del territorio, garantendo in maniera ragionevole e proporzionata gli investimenti dei privati, pur nel rispetto della funzione sociale del demanio marittimo.

Tuttavia, nell’attesa di una riorganizzazione normativa organica del settore, alla luce delle disposizioni europee, che impongono procedure di affidamento del demanio marittimo trasparenti ed imparziali, e con durata limitata ed adeguata, delle pronunce della Corte di Giustizia (le cui sentenze, com’è noto, hanno forza esecutiva nei confronti degli Stati membri e vincolano i giudizi nazionali, i quali sono tenuti a disapplicare le norme interne confliggenti con quelle europee), nonché delle pronunce dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, la pubblica amministrazione è tenuta a disapplicare la normativa interna che viola gli obblighi europei ed applicare le disposizioni comunitarie.
Conseguentemente, i soggetti interessati, che si ritengono lesi dalla proroga di una concessione demaniale marittima possono impugnare il provvedimento di proroga dinnanzi al TAR. Al contempo, le amministrazioni sono tenute ad indire nuove procedure trasparenti ed imparziali per l’affidamento delle concessioni demaniali marittime a scopo turistico-ricreativo.

Tali principi sono stati confermati a più riprese anche dalla giurisprudenza interna. Soltanto di recente, il Consiglio di Stato, con sent. n. 2192 del 1° marzo 2023, si è pronunciato su un ricorso dell’Autorità Garante della Concorrenza (AGCM) avverso una delibera di giunta comunale che aveva previsto l’estensione delle concessioni demaniali marittime sino al 2033 (sulla base della legge n. 145 del 2018). In tale occasione i giudici amministrativi hanno confermato che “sulla base di quanto affermato dall’Adunanza Plenaria, con le ricordate sentenze nn. 17 e 18 del 2021, non solo i commi 682 e 683 dellart. 1 della L. n. 145/2018, ma anche la nuova norma contenuta nellart. 10-quater, comma 3, d.l. 29/12/2022, n. 198, conv. in L. 24/2/2023, n. 14, che prevede la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime in essere, si pone in frontale contrasto con la sopra richiamata disciplina di cui all’art. 12 della direttiva n. 2006/123/CE, e va, conseguentemente, disapplicata da qualunque organo dello Stato” (nello stesso senso, ex multis per citare solo le più significative – Cons. Stato, sez. VII, sentt. n. 2740 del 15 marzo 2023; n. 10378 del 30 novembre 2023; n. 1780 del 21 febbraio 2023; n. 5625 del 6 luglio 2022; n. 11664 del 2022; Corte di Cassazione, sent. 16 marzo 2018, n. 21281; sent. 12 giugno 2019, n. 25993, nonché, sent. 21 ottobre 2020, n. 29105; TAR Abruzzo, sent. n. 40 del 2021; Cons. di Stato, sez. VI, sentt. n. 7992 del 28 agosto 2023; n. 163 del 4 gennaio 2023; TAR Liguria, sez. I, in numerose pronunce del 3 e 4 gennaio 2023; TAR Lombardia, sez. I, sent. n. 959 del 27 aprile 2017).
Significativa è, altresì, l’ordinanza del Consiglio di Stato, VII sez., n. 8184 del 6 settembre 2023, che, nel dare riscontro a una richiesta di chiarimenti da parte della Corte di Giustizia su una concessione demaniale marittima, ha precisato che si trattava di una concessione con “interesse transfrontaliero certo in quanto la risorsa materiale è scarsa e il mercato di riferimento, caratterizzato dall’impiego strumentale del bene per la prestazione di servizi dietro remunerazione, attrae gli investimenti sia degli operatori economici nazionali, sia di quelli degli altri Stati membri, divenendo il bene demaniale, nella sostanza, uno degli elementi dell’azienda e, dunque, dell’impresa economica”. Tali elementi avrebbero giustificato l’applicazione della direttiva Bolkestein e la conseguente disapplicazione delle disposizioni nazionali.
Anche la Corte costituzionale si è pronunciata in materia: dapprima con la sent. n. 1 del 2019, con cui ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 2, commi 1, 2, 3 e dellart. 4, comma 1, della legge della Regione Liguria 10 novembre 2017, n. 26, che estendeva la durata delle concessioni demaniali marittime a scopo turistico-ricreativo di trent’anni, al dichiarato scopo di tutelare i principi di certezza del diritto e legittimo affidamento degli imprenditori.
Il Giudice delle leggi ha affermato la contrarietà della normativa regionale all’art. 117, secondo comma, Cost, in quanto la tutela dell’affidamento degli operatori balneari riguarderebbe una «sfera di competenza riservata in via esclusiva alla legislazione statale, alla quale unicamente spetta disciplinare in modo uniforme le modalità e i limiti della tutela dell’affidamento dei titolari delle concessioni già in essere nelle procedure di selezione per il rilascio di nuove concessioni, per la ragione, appunto, che la tutela di tale affidamento incide sui criteri e le modalità di affidamento delle concessioni su beni del demanio marittimo, i quali devono essere stabiliti nell’osservanza dei principi della libera concorrenza e della libertà di stabilimento, previsti dalla normativa comunitaria e nazionale, e corrispondenti ad ambiti riservati alla competenza esclusiva statale in forza dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. […] E su tale materia incide, per di più, in modo particolarmente accentuato, in ragione della eccessiva estensione della durata delle concessioni in atto, poiché, anche alla luce del diritto europeo, durate eccessive stimolano gestioni inefficienti (sentenza n. 176 del 2018)».
Peraltro, già in diverse occasioni la Corte costituzionale aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale di leggi regionali contenenti rinnovi automatici o proroghe ex lege delle concessioni demaniali marittime, fluviali o lacuali (sentt. n. 180 del 2010, n. 233 del 2010, n. 340 del 2010, n. 213 del 2011, n. 157 del 2017, n. 118 del 2018, n. 221 del 2018).
Con la sent. n. 10 del 29 gennaio 2021, la Corte costituzionale ha poi evidenziato che «i criteri e le modalità di affidamento delle concessioni debbono essere stabiliti nell’osservanza dei principi della libera concorrenza recati dalla normativa statale e dall’Unione europea, con conseguente loro attrazione nella competenza esclusiva statale, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., che rappresenta sotto questo profilo un limite insuperabile alle pur concorrenti competenze regionali (ex multis, sentenze n. 161 del 2020, n. 86 del 2019, n. 118 e n. 109 del 2018)». La Corte ha, inoltre, precisato che «la nuova ipotesi del rinnovo delle concessioni già esistenti […] finisce così per essere sottratta alle procedure a evidenza pubblica conformi ai principi, comunitari e statali, di tutela della concorrenza stabiliti per le ipotesi di rilascio di nuove concessioni, e per consentire de facto la mera prosecuzione dei rapporti concessori in essere, con un effetto di proroga sostanzialmente automatica o comunque sottratta alla disciplina concorrenziale in favore di precedenti titolari. Un effetto […] già più volte ritenuto costituzionalmente illegittimo» dal Giudice delle leggi.

Alla luce di quanto considerato e tenuto conto che, nel processo amministrativo, la legittimazione attiva di associazioni rappresentative di interessi collettivi richiede che la questione in oggetto “attenga in via immediata al perimetro delle finalità statutarie dell’associazione e, cioè, che la produzione degli effetti del provvedimento controverso si risolva in una lesione diretta del suo scopo istituzionale”, il CoNaMaL (Coordinamento Nazionale Mare Libero APS), individuando come propria finalità esclusiva la tutela dell’ambiente marino e costiero ed avendo individuato esplicitamente nello Statuto i seguenti principi: “la consapevolezza che l’Uomo è parte alla pari delle altre parti della Natura, che in quanto tale possa goderne liberamente, rispettandola, e senza intestarsi alcun diritto di sfruttamento, deturpazione e modifica dell’ecosistema; una cultura politica e amministrativa che limiti l’impatto antropico sulle coste e sul demanio marittimo, osservando precisi parametri di salvaguardia e tutela del contesto naturale; la promozione di un modello di gestione delle spiagge che privilegi e che tuteli l’erogazione di servizi di reale utilità sociale, per favorire il contatto delle persone con l’ambiente costiero quale luogo di elezione per la condivisione, la riflessione e il benessere, sia individuali che collettive” risulta un ente sicuramente legittimato ad impugnare una proroga automatica delle concessioni demaniali marittime sulla base delle ragioni sovraesposte. Il principio di concorrenza, o più correttamente la regola della concorrenza, va rispettata nella sua dimensione più ampia, e corretta, ovvero ponendo al centro della tutela i diritti dell’uomo, che nel caso di specie si concretizzano nel diritto di godere e di fruire di beni pubblici, serventi al godimento di diritti primari, costituzionalmente garantiti, a partire dal diritto alla salute. Chiedere il rispetto della regola della concorrenza, in quanto regola subordinata ai principi supremi della coesione, della solidarietà e della dignità umana, significa innanzitutto, prima del mercato, porre al centro le esigenze dei cittadini. Questa è la lettura corretta della regola della concorrenza secondo l’art. 3, par. III TUE e lart. 14 TFUE, ovvero subordinare il mercato ai valori della dignità umana, della coesione sociale, della solidarietà e della tutela dell’ambiente. Questo il quadro di riferimento che legittima l’azione processuale del Co.Na.MA.L. ad agire in sede di giustizia amministrativa per richiedere l’annullamento delle proroghe delle concessioni e l’applicazione della regola della concorrenza in una visione democratica, come su delineata. Il passaggio processuale successivo, esauriti i mezzi processuali interni, non potrà che essere il ricorso alla CEDU.

Napoli, 18 marzo 2024

Prof. Avv. Alberto Lucarelli
Avv. Maria Chiara Girardi