Il diritto dei cittadini di accedere alle spiagge e al mare è un tema che puntualmente si propone all’inizio di ogni stagione balneare, laddove purtroppo molte delle aree costiere italiane, soprattutto le più belle, hanno subito nei decenni un inesorabile processo di privatizzazione di fatto, con la comparsa di muri, cancelli, inferriate e barriere di ogni tipo, poste a delimitare gli spazi di arenile dati in concessione per uso turistico-ricreativo, oppure posti a ridosso di proprietà private, abitazioni, alberghi ecc.

Le leggi e la giurisprudenza dicono che tale diritto è e rimane inviolabile, essendo legato alla intrinseca funzione di uso pubblico del bene comune demanio marittimo, a prescindere dalla proprietà.

Di seguito riportiamo alcuni brani di un intervento fatto da un magistrato del Consiglio di Stato, che ribadisce, in punta di diritto, come non vi possano essere barriere di alcun tipo al libero accesso al mare e alle spiagge.

Il diritto di accesso al mare

L’argomento, scomposto appunto nei suoi termini di più elementare semplicità, consiste nel risolvere il problema di come garantire l’esercizio del diritto, ammesso che esista, di tutti ad accedere al mare quando sulla stessa porzione di spiaggia insistano strutture balneari o di altro tipo, che derivino da concessioni o autorizzazioni amministrative.

[…[ la migliore scienza giuridica e la giurisprudenza prevalente sembrano concordare nel ritenere che il mare territoriale non costituisca un bene demaniale o patrimoniale dello Stato, ma sia una res communis omnium, che tutti possono utilizzare per i loro bisogni.
E qui sorge il problema dell’accesso, che può essere impedito o fortemente ostacolato dall’uso che altri soggetti, in virtù di titoli concessori legittimamente conseguiti dalle amministrazioni, che altrettanto legittimamente li ha rilasciati sulla base del regime giuridico proprio dei beni di accesso, ossia la spiaggia e gli arenili.

[…] Nonostante il fitto tessuto normativo, il conflitto di interessi tra il semplice utente, il concessionario e chi utilizza a pagamento le strutture balneari continuava ad esserci. Tant’ è che il legislatore è dovuto intervenire con la legge finanziaria n. 296/2006, che, all’articolo 1, comma 251, ha stabilito:<<è fatto obbligo per il titolare delle concessioni di consentire il libero e gratuito accesso di transito, per il raggiungimento della battigia antistante l’area ricompresa nella concessione, anche al fine della balneazione>>. Analoga previsione è rinvenibile al comma 254, dove si legge che:<<Le regioni, nel predisporre i piani di utilizzazione delle aree del demanio marittimo, sentiti i comuni interessati, devono individuare le modalità e la collocazione dei varchi necessari al fine di consentire il libero e gratuito accesso di transito per il raggiungimento della battigia antistante l’area ricompresa nella concessione, anche al fine di balneazione>>.

[…]In un primo momento le amministrazioni hanno manifestato una certa prudenza, preferendo una interpretazione restrittiva sia pur costituzionalmente orientata. Secondo questa lettura il diritto di accesso e di transito sarebbe consentito soltanto quando il Comune non avesse conservato alla collettività spiagge ad utilizzo libero oppure non fosse stato possibile alcun accesso a tali spiagge, se non attraverso l’ingresso negli stabilimenti balneari. […] Questa impostazione si fondava soprattutto sulla seconda norma della indicata legge finanziaria, ossia sul concetto che la ratio legis fosse quella di assicurare ai cittadini “un corretto equilibrio tra aree concesse e arenili liberamente fruibili”. Secondo questa lettura, il diritto di accesso e transito va inteso soltanto come possibilità per il privato di entrare all’interno degli stabilimenti e utilizzare l’area antistante lo stabilimento per raggiungere la spiaggia libera.
Successivamente si è affermata una visione contraria, laddove la prassi delle amministrazioni locali era nel senso di considerare sempre azionabile il diritto di accesso e transito all’interno degli stabilimenti balneari, anche ai fini della balneazione.
È stato questo l’orientamento che ha guidato la regione Liguria e le ordinanze dei principali comuni costieri liguri, come del resto la legislazione pugliese, emiliana e quella di numerosissimi altri centri costieri.

[…] Vi è poi una ordinanza (n. 1540 del 2015) del Tar Campania, dove si riconosce al Comune il potere di vigilare sul rispetto degli obblighi per i titolari delle concessioni di creare un accesso pedonale aperto in ogni ora e per tutto l’anno a coloro che vogliono accedere alla spiaggia, rimuovendo anche i cancelli apribili all’occorrenza.
Sulla stessa linea, il Consiglio di Stato ha rigettato in due ordinanze distinte le istanze cautelari presentate da due operatori balneari di Ostia che si erano appellati contro il provvedimento predisposto dal Campidoglio, che imponeva la rimozione dei cancelli che ostruivano l’accesso libero alla spiaggia. Dopo la decisione del Tar che solo un mese prima aveva definito la presenza dei varchi legittimi, il Consiglio di Stato ha avallato l’operato del Comune di Roma che era andato con le ruspe ad aprire i varchi.

Tuttavia, la sentenza (Cass. Pen, III, 15268/2001) più eloquente si ha in materia penale, laddove ha ritenuto responsabili del reato di cui all’art. 1161 del codice della navigazione alcuni condomini che avevano nel corso degli anni eliminato attraverso la costruzione di abitazioni un’antica strada che consentiva a tutti di accedere al mare, statuendo che sul fondo gravasse una servitù collettiva pubblica, esercitata da una collettività indeterminata di soggetti considerati uti cives, quali titolari di un pubblico interesse di carattere generale, e non uti singuli, quali soggetti che si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene che si pretende gravato.
Del supremo giudice amministrativo va infine richiamata la citatissima ordinanza n. 2543/ 2015 della sesta sezione del Consiglio di Stato, che, dirimendo la questione relativa all’accessibilità pubblica alla battigia e al mare, ha precisato che “il demanio marittimo è direttamente e inscindibilmente connesso con il carattere pubblico della sua fruizione collettiva, cui è naturalmente destinato, rispetto alla quale l’esclusività che nasce dalla concessione costituisce eccezione, precisando inoltre che di tale principio generale costituiscono applicazione tra l’altro l’art. 1, comma 251, della legge finanziaria citata, a norma del quale costituisce clausola necessaria del provvedimento concessorio l’obbligo per i titolari delle concessioni di consentire il libero e gratuito accesso e transito, per il raggiungimento della battigia antistante l’area ricompresa nella concessione, anche al fine di balneazione”.

[…] Se non fosse bastato il richiamo diretto alla norma, l’ordinanza ha chiarito il principio dell’accessibilità pubblica alla battigia e al mare. Anzi ha stabilito la necessità di una clausola da inserirsi nel provvedimento concessorio, sgombrando in tal modo ogni dubbio interpretativo o residua resistenza all’applicazione letterale della norma.

[…] E’ di intuitiva evidenza come intorno a questo tema ruotino molti istituti giuridici e tutti di grande momento: la proprietà pubblica, la persona giuridica pubblica, lo sviluppo della personalità, i beni comuni, la tutela, le azioni popolari.
Più semplicemente, in questa sede, credo che il problema sia quello di stabilire se esista un diritto, e se sia uti cives o uti singuli, in capo a colui che voglia accedere al mare e utilizzare la spiaggia a fini di balneazione, e quali siano i suoi limiti. Il tema si inserisce nell’ampio dibattito sulla rivalutazione dei beni comuni e sul rapporto giuridico che i cittadini hanno con essi.

[…] Con l’espressione beni comuni ci si intende genericamente riferire ad una risorsa condivisa da un gruppo di persone; gruppo che può essere ristretto o ampio. Ciò lascia intendere che nel processo evolutivo delle classiche categorie giuridiche l’alternativa pubblico-privato non vale più a designare ciò che è di tutti rispetto a ciò che appartiene solo al ad alcuni. L’alternativa pubblico-privato non è più in grado di assorbire tutta la teoria dei beni, perché vi sono dei beni così intimamente connessi alle più essenziali esigenze di vita dell’uomo che si sottraggono a qualunque forma appropriativa non potendo che appartenere a tutti.
Tuttavia nel caso di specie non si può escludere il potere dell’amministrazione di consentire l’uso produttivo della spiaggia da parte del concessionario. Qui s’innesta il problema se quest’uso debba necessariamente rispettare l’esistenza di un godimento generalizzato dei beni.
Il punto più delicato riguarda la possibilità di individuare in capo al cittadino un’azione specifica per difendere l’indicata possibilità di godimento.
La risposta ci viene proprio dagli ultimi orientamenti della Corte di cassazione nelle sentenze del 2011 già citate che riguardavano le Valli da pesca della laguna di Venezia [nota e dibattuta vicenda giudiziaria, nella quale la Corte di cassazione con tre sentenze coeve del 2011, ne ha confermato sì la natura demaniale affermata dalla Corte d’appello territoriale, ma ha incentrato la ratio decidendi sulla nozione di bene comune, ossia come bene strumentalmente collegato alla realizzazione degli interessi di tutti cittadini, a prescindere dalla proprietà pubblica o privata del bene medesimo] ,  laddove anche il supremo giudice civile ha aperto la possibilità di esperire un’azione popolare anche in presenza di un bene demaniale, che postula l’esistenza di un regime giuridico che si muove all’insegna della demanialità; il che vuol dire non assegnare alla sola pubblica amministrazione la tutela del bene.
La ratio decidendi di quelle pronunce si incentra sulla nozione di bene comune e non di bene demaniale, ponendo al centro la funzione del bene, ossia il suo essere strumentalmente collegato alla realizzazione degli interessi di tutti i cittadini. Insomma si fonda sulla sua destinazione all’uso pubblico, a prescindere dalla proprietà.
Questa credo che la via da seguire sia quella indicata all’inizio, ossia che tutto si sposta sulla capacità di composizione concreta da parte delle pubbliche amministrazioni dei diversi interessi in collisione tra loro, tenendo conto del fatto che anche il singolo cittadino è diventato titolare di una posizione soggettiva a protezione del suo diritto a godere del bene.


Fonte: Il Diritto di Accesso al Mare, relazione tenuta dal Prof.  Gianpiero Paolo Cirillo (Presidente di Sezione del Consiglio di Stato)
al convegno di studi “In litore maris – Poteri e Diritti in Fronte al Mare”, Sestri Levante,  15 e 16 giugno 2018.