Resistere o arretrare? Erosione costiera e cambiamenti climatici obbligano a ripensare l’uso delle spiagge

Secondo il XVII Rapporto “Paesaggi sommersi” della Società Geografica Italiana  il 20% delle spiagge italiane potrebbe scomparire entro il 2050.

Il rapporto della Società Geografica Italiana, presentato il 28 ottobre 2025 nella sede di Villa Celimontana a Roma, non lascia spazio a dubbi: l’Italia rischia di perdere circa il 20% e il 45% delle proprie spiagge entro il 2050 e il 2100 rispettivamente, con punte in Sardegna, Lazio, Friuli Venezia-Giulia e Campania. La crisi climatica sta accelerando il fenomeno dell’erosione costiera, dovuto principalmente all’azione trasformativa dell’uomo, e la porzione di costa sabbiosa in arretramento potrebbe passare dall’attuale 18% al 70% nel 2050. Le cause principali sono infatti antropiche: la regimazione dei corsi d’acqua, la costruzione di dighe e invasi sui fiumi e il prelievo di inerti hanno ridotto notevolmente l’apporto di sedimenti verso le spiagge mentre l’artificializzazione della linea di costa ne ha amplificato gli effetti.

Se l’allarme contenuto nel Rapporto è chiaro, sulle misure da adottare c’è invece grande incertezza. L’impatto di erosione e cambiamenti climatici sulle nostre aree costiere, tanto preziose quanto vulnerabili, è già drammaticamente evidente ed è quindi necessario un profondo ripensamento della loro pianificazione e gestione, in particolare per quelle sfruttate con finalità turistico-ricreative. È cruciale, in ogni caso, riguadagnare il controllo pubblico della gestione e dello sviluppo costiero, dando la priorità agli obiettivi collettivi, di lungo termine, ambientali rispetto a quelli privati, di breve termine, economici alla luce  delle implicazioni della crisi climatica.

I numeri

Le spiagge italiane si sviluppano per una lunghezza complessiva di 3.400 km e una superficie complessiva di circa 120 km2 (un valore inferiore anche alla superficie del solo municipio di Ostia, nel comune di Roma), con un’ampiezza media che generalmente è dell’ordine di qualche decina di metri, da cui si comprende quanto esse risultino estremamente suscettibili ai fenomeni meteorologici e alle variazioni del flusso dei sedimenti.  Gli effetti dei cambiamenti climatici (innalzamento del livello del mare ed eventi metereologici estremi) costituiscono inoltre un cosiddettto “moltiplicatore di stress“.

La spiaggia ha assunto il ruolo di risorsa centrale del turismo balneare e marittimo a partire dagli anni ’50 del secolo scorso, diventando un fondamentale motore della trasformazione del paesaggio costiero italiano. In tale direzione sono stati operati una lunga serie di interventi: dallo spianamento delle dune, alla creazione di promenade fino alla opere rigide di stabilizzazione dei litorali. Il turismo ha poi contribuito in maniera sostanziale all’urbanizzazione delle coste: il consumo di suolo nella fascia dei 300 metri della linea di costa è attualmente al 23%, più del triplo della media del resto del territorio nazionale, nonostante vi sia stato nel frattempo una diminuzione del 4% della popolazione residente rispetto al 1980. I comuni propriamente litoranei sono 642, corrispondono all’8% dei comuni italiani, al 14% del territorio nazionale e al 30% della popolazione (con una media di 391 abitanti/km2).  Per quanto riguarda la pressione turistica, essa è pari a 11,2 presenze per abitante nei comuni costieri e 5,2 nelle aree non costiere (dati ISTAT, 2022).

Alla moltiplicazione di seconde case, alberghi, villaggi turistici e parcheggi annessi, si è aggiunta la creazione di nuove attrazioni nel limite interno delle spiagge, quali piscine, campi sportivi, parchi di divertimento e altri manufatti realizzati per allargare lo spettro dei servizi offerti ai bagnanti. Risulta occupato, infatti, da stabilimenti balneari quasi il 43% delle coste sabbiose italiane;  in Liguria, Emilia-Romagna e Campania l’occupazione arriva quasi al 70%, in alcuni comuni oltre il 90 o addirittura al 100% (dati Legambiente, 2022). La presenza estesa di manufatti rigidi sull’arenile, ecosistema di per sè soggetto a dinamiche climatiche e stagionali che ne modificano profilo e superficie,  contribuisce a diminuire la sua resilienza ai fenomeni erosivi, poiché le opere costiere, anche di protezione, provocano l’accentuarsi della riflessione del moto ondoso. Una spiaggia libera da strutture permanenti costituisce “il più efficace metodo di difesa costiera per la sua capacità dinamica di adattarsi al moto ondoso e dissiparne l’energia anche negli eventi estremi“.

Oltre al turismo, altro fattore determinante nella artificializzazione della costa è stato l’uso portuale e industriale, con la crescita dimensionale delle navi e dei porti , determinando complessivamente l’aumento del valore economico delle opere realizzate e ponendo quindi le basi per una sempre crescente domanda di protezione costiera.

Le strategie

Le strategie sinora adottate per la difesa della costa si sono basate sui ripascimenti  (con milioni di m3 di sedimenti prelevati da cave terrestri e depositi marini)  e difese rigide  (pennelli, barriere sommerse, ecc. che nel 2020 interessavano già 1.520 km di costa). Entrambi hanno dimostrato di essere inefficienti nel medio termine, ma non vi sono attualmente segnali che verranno adottate in futuro soluzioni maggiormente improntate all’adattamento o alla rinaturalizzazione. La convergenza tra interessi privati consolidati e autorità locali tende in sostanza alla conservazione dello status quo, caratterizzato da un generale laissez-faire istituzionale, in molti casi una “politica dell’illegalità” particolarmente pervasiva e che non mostra segni di arretramento,  e da una privatizzazione di fatto delle spiagge, con posizioni di rendita cristallizzate. Il risultato è una forte pressione conservatrice sulle politiche di gestione delle coste, per cui è prevedibile che si prosegua con la costruzione di strutture rigide, verso una quasi completa artificializzazione della linea di costa bassa. Con il rischio di veder sparire migliaia di spiagge e crescere la minaccia alle infrastrutture e alle economie costiere, agli stessi insediamenti umani.

A tale situazione contribuisce la cosiddetta iper-territorializzazione che segna la geografia amministrativa del paese, ovvero la moltiplicazione dei perimetri e dei livelli di governo. L’assenza di una “camera di regia”, rende difficile il coordinamento dei livelli decisionali,  la coerenza e l’integrazione delle politiche del settore, in sintesi la definizione di visioni condivise rispetto alla gestione sostenibile delle risorse.  Ad aggravare ancora più il quadro sono l’illegalità e l’incuria, che trovano molto facilmente spazio nel contesto socio-economico italiano.

Quindi quale alternativa al circolo vizioso erosione-opere di difesa-maggiore vulnerabilità della costa?  Gli studiosi analizzano la strada di un “adattamento pianificato” con soluzioni a lungo termine “natur based, come il “riallineamento” o “l’arretramento” gestiti, ovvero un ripensamento più generale e radicale degli attuali regimi di organizzazione e gestione delle coste. La rinaturalizzazione, ovvero “ridare complessità e flessibilità al sistema“,  appare come l’unica strada per “lavorare con la natura” e non contro.

Il riallineamento si configura come una serie di interventi di ingegneria leggera volti a fare spazio al mare e favorire il riallineamento naturale della linea di costa. Tra gli interventi possibili la rimozione delle barriere artificiali o la creazione di habitat (come paludi, banchi di fango) che forniscono una protezione naturale e dinamica delle coste. Tali soluzioni, finora peraltro raramente adottate, risulterebbero economicamente più efficienti delle protezioni costiere nel medio periodo, soprattutto rispetto alle previsioni di progressivo innalzamento del livello del mare.

L’arretramento gestito implica “lo spostamento pianificato, intenzionale e coordinato di persone, beni e attività lontano dal rischio“. Tale approccio radicale incontra ovviamente non solo difficoltà e barriere tecniche (in Italia il 50% delle aree di “retro spiaggia” è fortemente urbanizzato e l’arretramento gestito potrebbe essere semplicemente impossibile o incredibilmente costoso), ma anche di accettazione sociale (si pensi solo alla proprietà immobiliare).

I problemi socio-economici connessi a tali soluzioni aprono scenari di enormi difficoltà e il rischio è che i pianificatori e i policy maker rimangano fermi su approcci più tecno-ottimistici e conservatori, con strategie di natura meramente protettiva che tendono a perpetuarsi anche per via di vincoli legislativi e finanziari, per la forza degli interessi consolidati o semplicemente per inerzia.

Nel frattempo, potrebbe essere sicuramente di aiuto stimolare una nuova cultura della fruizione della costa, per esempio nel senso previsto dalla “Nature Restoration Law” ovvero ripristinare almeno il 20% delle aree terrestri e marine degradate entro il 2030. C’è anche chi suggerisce di sfruttare la crisi climatica come opportunità di cambiamento,  con la creazione e formazione di nuovi posti di lavoro per le strategie di adattamento.

Ripensare il turismo balneare è comunque indispensabile: prioritario alleggerire l’impatto antropico sulle spiagge, con l’eliminazione graduale delle costruzioni (sicuramente tutte quelle abusive); così come introdurre un nuovo regime delle concessioni demaniali marittime (gare di assegnazione trasparenti e imparziali, durate limitate,  tutela ambientale) e una pianificazione a livello locale nel rispetto delle esigenze di tutta la collettività (quota minima del 50% di spiagge libere per ogni ambito omogeneo a livello comunale, visibilità e piena accessibilità al mare).

È cruciale, in ogni caso, riguadagnare il controllo pubblico della gestione e dello sviluppo costiero, dando la priorità agli obiettivi collettivi, di lungo termine, ambientali rispetto a quelli privati, di breve termine, economici. Potrebbe non essere troppo tardi e certo estremamente impegnativo, ma nella consapevolezza delle implicazioni della crisi climatica, necessario.

Fonti:
XVII Rapporto “Paesaggi sommersi” Società Geografica Italiana, giugno 2025
ISPRA “Dissesto idrogeologico in Italia: pericolosità e indicatori di rischio”, Edizione 2024
SNPA “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici”, Edizione 2025
ISTAT “Attività antropiche e salute della costa”, 2022
Legambiente “Rapporto Spiagge 2022”

 

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