Il Coordinamento Nazionale Mare Libero ha presentato il 26 luglio 2023 una petizione al Parlamento UE  avente come oggetto “Lo Stato italiano non applica la direttiva Bolkestein sulle concessioni demaniali marittime“, registrata positivamente dalla Commissione UE per le Petizioni – PETI il successivo 4 agosto.

L’iniziativa segue l’incontro del 29 marzo 2023 a Bruxelles di una delegazione del Direttivo con alcuni dirigenti della Commissione Europea – Direzione Generale del Mercato Interno, dell’Industria, dell’Imprenditoria e delle PMI, per il tramite del Parlamentare Europeo, onorevole Piernicola Pedicini, che sostiene e condivide le nostre iniziative.

La discussione della petizione è attesa entro la fine dell’anno, probabilmente in concomitanza delle altre numerose petizioni aventi lo stesso oggetto concessioni demaniali marittime, dove ci si lamenta della “violazione dei  diritti fondamentali dei titolari di concessioni demaniali marittime“. In questo senso la petizione del Coordinamento Nazionale Mare Libero interviene anche a bilanciare, in sede UE ma non solo, iniziative istituzionali e mediatiche di soggetti e associazioni di categoria che hanno interessi economici privati da tutelare.

Questo è purtroppo ciò che accade in Italia, dove al Tavolo tecnico consultivo in materia di concessioni demaniali marittime,  istituito in base al D.L. 29 dicembre 2022, n. 198 dove, oltre ai rappresentanti ministeriali  e ai rappresentanti delle regioni, siede  “un rappresentante per ogni associazione di categoria maggiormente rappresentativa del settore”, con l’esclusione delle associazioni ambientaliste e di difesa dei consumatori. Di questa ingiustificata esclusione ci siamo lamentati con la Presidente del Consiglio dei Ministri e con i Ministri competenti (vedi la nostra Lettera alla Presidente del Consiglio dei Ministri inoltrata con PEC).

La petizione, sintesi e obiettivi.

La petizione è motivata dalla situazione di grave disequilibrio che si è radicalizzata nell’ ordinamento tra nicchie di privilegio di cui continuano ad usufruire gli attuali  concessionari demaniali e il resto della collettività, si badi bene non solo quella imprenditoriale turistica che in spregio ai principi di libera concorrenza è impossibilitata ad accedere a quel particolare tipo di mercato, ma anche quella generalizzata che si vede in gran parte annullata la possibilità di godere liberamente e gratuitamente di un bene comune come è il demanio marittimo.

Non esiste attualmente, preso atto della inettitudine dello Stato italiano di affrontare con metodo eurounitario il problema delle concessioni demaniali, un equilibrato bilanciamento dei valori in gioco tra le diverse problematiche riguardanti le concessioni ad uso turistico-ricreativo e l’efficiente utilizzazione e gestione  del  demanio marittimo in modo da poter  identificare  un  modello  capace  di  mitigare  le posizioni europee pro-concorrenziali, mediandolo con l’attenzione a promuovere l’applicazione alla materia di un principio di economia sociale, di salvaguardia dell’ ambiente e dei beni comuni e che sia in grado di tener conto delle esigenze dei concessionari  uscenti, di tutelare i lavoratori e anche di favorire l’ingresso di nuovi operatori.

La crisi del settore turistico balneare narrata e i recenti sviluppi giurisprudenziali esprimono il segno dei tempi, in quanto rappresentano gli effetti della più complessiva incertezza politico istituzionale che da anni attraversa il Paese e della torsione dei rapporti tra i principali organi istituzionali. I fenomeni al riguardo inventariabili sono l’indecisione della politica (o meglio la precisa volontà politica di non decidere), la conseguente supplenza della magistratura, lo squilibrio fra i poteri e la sovrapposizione di ruoli che ne deriva, la prevalenza della regola giurisprudenziale su quella legislativa, che, nel caso di specie, ha comportato un inevitabile (ma non più accettabile) arretramento della seconda sulla prima.

La circostanza che in molti casi le concessioni si trasformano in vere e proprie privatizzazioni dei beni pubblici, realizzate preoccupandosi unicamente di massimizzare i profitti economici del loro sfruttamento, compromette inevitabilmente i diritti della comunità su tali beni.  Il progressivo deterioramento e depauperamento di importanti risorse comuni, unitamente all’esigenza di “fare cassa”, ha fatto guardare con favore, come è noto, alla privatizzazione di numerosi beni in precedenza in proprietà pubblica.

Oggi è più che mai necessaria una legge di riordino del settore deve peraltro partire dal presupposto che il demanio marittimo è un bene in linea di principio di tutti e che la sua utilizzazione, seppure in concessione, deve tenere conto innanzi tutto degli interessi generali dei cittadini e non può prescindere ed anche in questo caso tornano utili le considerazioni svolte dal Consiglio di Stato oltre che dai criterî indicati dall’art.12 della direttiva 2006/123, anche dalla consapevolezza che, nel determinare se le risorse possono essere oggetto di uno sfruttamento  economico,  il  concetto  di  scarsità  va  ovviamente  interpretato  in  termini  relativi  e non assoluti.

Con  riferimento  alla  disponibilità  di  aree  già  assentite  e  di  ulteriori  rispetto  a  quelle  già  oggetto  di concessione, i dati forniti dal Ministero delle Infrastrutture rivelano dunque che in Italia quasi il 50% delle coste  sabbiose  è  occupato  da  stabilimenti  balneari,  percentuale  che  in  alcune  Regioni  (come  Liguria, Emilia Romagna e Campania) raggiunge anche il 70%-80%: un livello molto elevato, rispetto a estesi tratti di  litorale soggetti inoltre ad un’erosione in costante aumento, tanto più che  una  parte  significativa  della costa  “libera”  risulta  non  fruibile  per  finalità  turistico ricreative,  perché  inquinata  o  comunque “abbandonata”.

Una riforma organica al riguardo, pertanto, nel dare applicazione alla procedura di selezione dei candidati  potenziali secondo i criterî indicati dall’art. 12 della direttiva 2006/123 (garanzie di imparzialità e trasparenza; avere considerazioni in materia di salute pubblica; avere obiettivi di politica sociale; tutelare la salute e sicurezza dei lavoratori dipendenti ed autonomi; avere protezione e salvaguardia dell’ambiente  e del patrimonio culturale), dovrà in primo luogo partire dalla consapevolezza comune a tutti i decisori che le risorse naturali sono estremamente limitate e, quindi, non ulteriormente riducibili e regolare il loro sfruttamento economico in funzione della dimensione collettiva dell’interesse generale.

Questo significa che nella disciplina del settore il legislatore dovrà eliminare l’ammissibilità della sub-concessione, secondo quanto previsto dall’art. 45 bis cod. nav. modificato dall’art. 10, 2° co, legge 8/2001 o ridurre l’ampia discrezionalità oggi riconosciuta all’autorità competente di affidare ad altri soggetti la gestione delle attività oggetto della concessione (o di attività secondarie nell’ambito della stessa) in via generalizzata e senza limiti temporali. In  concertazione  con  le  Regioni  ed  i  Comuni  dovranno  essere  fissati  criterî  capaci  di  valorizzare  le differenziazioni  in  materia;  mettere  al  riparo  gli  investimenti  dalle  infiltrazioni  delle  organizzazioni criminali; garantire la tutela dei lavoratori e lavoratrici e il rispetto dei contratti di lavoro;  fissare canoni  di concessione che rispettino il reale valore del bene demaniale, se commercialmente sfruttato;  assicurare la sostenibilità ambientale degli stabilimenti balneari, la sicurezza in spiaggia, con il salvataggio previsto come servizio pubblico a tutela dei bagnanti; di assicurare remunerazione equa degli investimenti, delle esperienze e delle capacità imprenditoriali, ma vincolando gli operatori economici a praticare una politica di  prezzi  non  speculativi  per  ombrelloni,  lettini  e  servizi  di  spiaggia  e  a  farsi  carico  anche  della manutenzione dei tratti di costa liberi, assicurandone condizioni dignitose.

Se la tanto attesa riforma organica del settore e i nuovi bandi saranno in grado di assicurare più introiti, più risorse, di assicurare maggiore sostenibilità, di innalzare ulteriormente la qualità dei servizî offerti da redistribuire  a  favore  della  comunità  complessiva, soltanto  allora  ai  beni  demaniali  dati  in concessione potranno  riconoscersi  caratteristiche  effettivamente  in  grado  di  porsi  a  tutela  anche,  se  non  in  primo luogo, dei diritti fondamentali della comunità. La mancata attuazione da parte dello Stato Italiano dei principi euro-unitari compromette tutti questi obiettivi.

Per questo motivo questa Petizione chiede alla Commissione Europea, in particolare, di intervenire nel confronto del Governo Italiano per garantire la corretta e integrale applicazione della Direttiva Bolkestein (2006-123-CE) soprattutto nell’applicazione del suo articolo 12, e dell’articolo 49, 56 e 106 del T.F.U.E.