Le iniziative degli attivisti  del Coordinamento Nazionale Mare Libero APS, da  Marina di Massa a Ostia, passando per Rimini e Gaeta, trovano spazio anche sulla stampa internazionale, a riprova della efficacia e della validità delle azioni messe in atto. Un interessante articolo apparso sulla rivista online “Fortune” il 21 agosto 2021, offre l’occasione per dare rilievo alle battaglie per le spiagge libere, per il libero accesso e la visibilità del mare, nonché per riportare all’attenzione il tema delle continue proroghe – illegittime – delle concessioni balneari.

Per comodità di lettura, riportiamo di seguito una traduzione dell’articolo.

Scoppia una guerra santa per l’accesso alle sacre spiagge d’Italia

Di Luiz Romero  (Fortune, 21 agosto 2021, https://fortune.com/2021/08/21/italy-beaches-free-beach-activism/ )

Trad. libera di Danilo Ruggiero

A Ostia, cittadina costiera poco distante dal centro di Roma, chilometri di recinzioni e alti muri nascondono a tutti, ad eccezione dei clienti paganti, il Mediterraneo in tutto il suo splendore.

“Hanno chiuso la vista del mare“  dice Edoardo Zanchini, esponente dell’organizzazione ambientalista Legambiente, parlando degli stabilimenti balneari, gli impianti sul mare dove i bagnanti possono spendere piccole fortune in lettini, ombrelloni e, visto che siamo in Italia, cibi raffinati.

Gli stabilimenti offrono “bolle” pulite, ordinate e confortevoli a pochi passi dal mare – ma solo per quelli che possono permetterselo. Negli ultimi anni queste “bolle” si sono moltiplicate, suscitando la collera dei sostenitori delle spiagge libere. Per loro, queste attività sulle spiagge sono barriere inguardabili. Addirittura hanno coniato un nome per definirle: il lungomare è diventato lungomuro.

Seguendo le proteste degli attivisti, il governo regionale a maggio ha approvato un nuovo piano per le spiagge che potrebbe far cadere alcuni tratti della barriera – non solo a Ostia ma in tutta la regione. La battaglia per il mare e la sabbia d’Italia è arrivata nelle aule di giustizia nazionali e nella tanto lontana quanto piovigginosa Bruxelles.

C’è molto di più in ballo che una splendida vista mare. L’economia italiana, ammaccata dal Covid, dipende molto da un recupero del turismo, e difficilmente può sostenere una annosa battaglia per le sue spiagge. In una buona annata, il comparto balneare genera 32 miliardi di Euro. Il Sindacato Italiano Balneari (SIB), l’associazione di categoria che rappresenta il business delle spiagge, è pronta nel sostenere che i suoi 30.000 associati contribuiscono per miliardi all’economia, dando lavoro a 100.000 addetti.

Ma questo non soddisfa gli attivisti. Questi sostengono che la rapida mercificazione delle località costiere italiane rischia di creare un ampio divario tra ricchi e poveri.

“Gli italiani più abbienti possono permettersi di pagare i biglietti per lo stabilimento, i più poveri no” sostiene Danilo Ruggiero, membro di Mare Libero, un gruppo di attivisti di Ostia. “Molti possono pagare un abbonamento stagionale per una cabina, ma molti altri guadagnano in un anno il costo dell’affitto”.

Tutta questa sabbia alzata sulle concessioni potrebbe trasformare uno dei più popolari e famosi litorali del mondo.

Dove posso trovare una spiaggia libera in questa città?

Nel frattempo, una quantità sempre maggiore di spiagge libere sta scomparendo dalle mappe.

Le statistiche parlano di una ben orchestrata appropriazione di suolo. Le spiagge a pagamento occupano circa il 70% delle coste liguri, a nord-ovest, confine con la Francia. In alcune città le concessioni occupano l’80-90% del litorale. A Gatteo, vicino Rimini, non ci sono spiagge libere in città.

Dietro le quinte, l’assenza di concorrenza significa che le concessioni rimangono alla stessa famiglia per generazioni indipendentemente dalla loro gestione, con il risultato di avere servizi scarsi e prezzi alti, sostengono i critici. La situazione ha dato luogo ad un rilievo formale da parte dell’Unione Europea, un susseguirsi di ricorsi e la verifica di tutte le concessioni nel paese.

Il Sindacato Italiano Balneari non ha risposto alle molte richieste di Fortune per un commento.

Il boom del dopoguerra

Gli stabilimenti balneari sono esistiti da secoli lungo la penisola italiana scaldata dal sole, ma solo dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, nel momento in cui il paese sperimentava il boom economico degli anni ’50, le spiagge sono diventate popolari spazi per le masse e opportunità di affari per gli imprenditori. Le famiglie acquistavano seconde case appena costruite vicino la costa o affittavano appartamenti presso le spiagge preferite, tornando spesso per anni nella stessa località.

Dagli anni ’90 la costa, come il resto d’Italia, è cambiata in modo radicale. La fine dell’era postbellica del centro-sinistra ha lasciato il posto alla politica corporativista e del libero mercato di Silvio Berlusconi. Nello stesso tempo, il numero degli impianti balneari è triplicato da circa 4.000 negli anni ’90 ai circa 12.000 attuali, secondo le stime di Legambiente. A ciò ha contribuito il fatto che “i canoni pagati allo Stato per le concessioni sono realmente bassi” dice Zanchini.

I critici descrivono il mercato per le concessioni balneari caotico e troppo sbilanciato a favore delle imprese. Per esempio, secondo Il Fatto Quotidiano, Cala di Volpe, lussuoso hotel della famosa Costa Smeralda, paga un canone annuale di 520 Euro per il diritto di recintare un ampio tratto di un terreno di prim’ordine come sua spiaggia esclusiva. Una stanza qui può costare 5.500 Euro per notte, abbastanza per pagare dieci anni di canone.

Il governo centrale a Roma ha appena aumentato il canone minimo, ma anche questo sembra più una toppa che una vera riforma del mercato, sostengono i critici.

Gli attivisti sostengono che i canoni dovrebbero essere collegati ai ricavi, così che le imprese grandi paghino di più e le piccole di meno. Chiedono anche che il governo non sia abbagliato dalle potenziali entrate fiscali, incluso anche il fatto che non c’è abbastanza concorrenza tra le imprese che operano sulle spiagge.

L’UE sta facendo pressione sull’Italia su questo tema. Ha ripetutamente richiesto procedure aperte per le concessioni balneari, specialmente dopo che le leggi varate negli anni ’90 e 2000 hanno consentito al governo di rinnovare automaticamente le concessioni, senza bandi pubblici di gara.

Nel 2010, dopo molte pressioni, il governo italiano ha fermato i rinnovi automatici, ma ha lanciato un salvagente alle imprese prorogando più volte le concessioni esistenti, attualmente fino al 2033. Di conseguenza, a dicembre Bruxelles ha aperto formalmente una procedura d’infrazione, che potrebbe comportare una multa per l’Italia.

L’impasse con Bruxelles ha generato molta confusione e dispute in Italia.

Alcuni comuni, come Lecce in Puglia, diverse città in Liguria e Olbia in Sardegna, stanno rispettando le normative europee e si sono rifiutati di prorogare le concessioni. I gestori degli stabilimenti e le loro potenti associazioni nazionali hanno fatto ricorso contro queste amministrazioni. Altri comuni, tra i quali Piombino e Carrara in Toscana, stanno seguendo la normativa di Roma, prorogando automaticamente le concessioni. Contro di loro hanno fatto ricorso la vigilanza per la concorrenza [AGCM, NdT] e gli attivisti.

Una di queste battaglie legali, riguardante uno storico stabilimento di Genova, sta avendo un impatto a livello nazionale e potrebbe causare uno tsunami di chiusure sulla costa, dopo che il giudice a luglio ha chiesto la verifica della validità delle concessioni alle procure di tutta Italia.

Sentendo il caldo

Il governo italiano è sotto pressione anche dal basso, da parte dei gruppi di attivisti nel paese. “C’è una opposizione crescente a questa situazione da parte degli italiani” dice Zanchini di Legambiente.

Matilde Nocchi, attivista delle spiagge a Massa, in Toscana, dice che l’obiettivo del gruppo che ha costituito nel 2019 è “sensibilizzare le persone affinché possano percepire la costa come un bene comune e non come appartenente alle famiglie che l’hanno gestita per anni”.

Lei vuole anche contribuire a migliorare la qualità delle spiagge libere, che sono mal tenute dall’amministrazione comunale, con montagne di detriti e senza assistenza per i bagnanti. “Il mare appartiene a ciascuno, e vogliamo accedervi con dignità e sicurezza” dice la Nocchi.

Nel frattempo, gli attivisti stanno mettendo in campo proteste e intervengono nelle politiche comunali.

A Massa partecipano alle riunioni comunali di pianificazione dove si prendono le decisioni sulle spiagge, controbilanciando la presenza degli stabilimenti balneari. A Ostia gli attivisti tentano di raggiungere il mare senza pagare, sotto il naso degli imprenditori. Riprendono in video i tentativi dei gestori di fermarli. A Gaeta sono impegnati in una offensiva sul fronte dell’informazione, distribuendo mappe che indicano la collocazione delle spiagge pubbliche così che le persone sappiano che lì non devono pagare per stendersi sulla sabbia.

Whatever it takes (A qualsiasi costo)

Il Presidente del Consiglio Mario Draghi, impegnatissimo nella ripresa economica del paese, potrebbe essere l’ultima speranza per negoziare una tregua tra le richieste di cambiamento da parte dell’Europa e la tradizionale inerzia dell’Italia. Come ex Presidente della Banca Centrale Europea, è rispettato a Bruxelles e ne rispetta le istituzioni.

“Lui è l’unico che può portarci ad una normativa più moderna per questa situazione” dice Zanchini. “Sarebbe un problema per Draghi approvare una legge contraria all’Europa. Non può permettersi da fare qualcosa di simile”.

Draghi ha promesso nuove leggi sulla materia, e Roma ha intenzione di chiedere un incontro a Bruxelles dopo la pausa di agosto, secondo una fonte autorevole nel Ministero del Turismo.

Nel frattempo, gli attivisti promettono che continueranno a tenere sotto pressione le imprese balneari.